TESTO CRITICO DI CARLO MUNARI

Aldo Parmigiani è un artista che opera discosto dalle consuete direttrici linguistiche ma in questa sua deliberazione non si celano ragioni polemiche, non si annida il gusto provocatorio dell’andar contro corrente. Per Aldo Parmigiani si tratta piuttosto di perseguire con intransigenza morale la fedeltà ai propri credi, alle convinzioni maturate in stagioni lontane, fin dagli inizi degli anni Cinquanta quando, adolescente appena, comprese che la vocazione alla pittura avrebbe segnato la sua vita. Si tratta, soprattutto, di corrispondere con assoluta puntualità alla visione del mondo che gli è propria. Con tutto cio’ va detto anche che l’adesione di Parmigiani alla pittura di realtà non implica della stessa realtà una registrazione automatica e passiva. L’ottica dell’artista è estranea tanto al tromp-l’oeil che ispira la pittura au plein-air quanto allo sharp-focus privilegiato da più recenti esperienze. Parmigiani, infatti, non propende verso la rappresentazione hic et nunc del dato offerto dal reale e nemmeno intende strumentalizzare quel dato incanalandolo verso finalità ideologiche di varia estrazione. Egli mira invece a trasformare il frammento di realtà in frammento poetico, di riflettere in esso, cioè, l’emozione che gli ha suscitato nel momento in cui l’ha accostato. Cosi operando, egli libera l’immagine dalle ipoteche del contingente e del provvisorio per deporla in una sfera incontaminata, pura come una polla di cristallo. Riguardata da questa angolazione, la pittura di Parmigiani non può essere considerata né nuova né vecchia perché non appartiene alla tradizione comunemente intesa – una inerte ripetizione di schemi devitalizzati – né aspira a proporsi in connotati innovatori. Più semplicemente, essa acquisisce un valore che supera il tempo e i gusti che al tempo sono connessi: un valore permanente. Indagarla su prospettive diverse, tentare di porla in relazione con altre problematiche e formulare giudizi sulla linea dei confronti significherebbe snaturarne i sensi più intimi, le motivazione stesse sulle quali è cresciuta. Perciò, in certo modo, Parmigiani costituisce un caso.  È l’artista solitario che ancora si avventura nei territori dove risuona quella parola poetica consolatrice ch’egli sa catturare e fissare per sempre nel volgere dell’immagine. Se persino ovvio è notare, a questo punto, che l’incidenza del messaggio è in diretta dipendenza della qualità dell’immagine, opportuno è rilevare invece come siffatta qualità abbia acquisito col trascorrere degli anni uno spessore sempre piu’ consistente. Ad una verifica globale dell’opera, con immediatezza è riscontrabile un evolvere graduale e senza pause, un costante processo di arricchimento delle componenti costitutive del linguaggio e, insieme, un loro progressivo affinamento. Tutto questo sta ad indicare la vitalità dell’artista, la modalità della sua ricerca e l’ampiezza dei suoi interventi a livello operativo e sta ad indicare altresì il presupposto etico che governa il suo gesto. La coerenza stilistica di Parmigiani è, in altre parole, l’esatto risvolto della sua coerenza interiore.

Dopo queste osservazioni, rapide ma indispensabili nonostante di ordine generale, più agevole sarà penetrare nell’universo dell’artista. Si è parlato poc’anzi di immagine quale evento poetico. Mette conto adesso di chiarire i termini in cui quell’evento si realizza. Si dirà allora che l’immagine si situa alla confluenza ideale di nozione oggettiva e di interpretazione sentimentale, del ponderabile e dell’intuito, insomma di realtà e immaginazione lirica. In tal modo l’artista evita tanto la ripresa sensistica del vero quanto lo sconfinamento nell’arbitrio, l’una e l’altro estranei alla misura poetica della quale si è voluto sottolineare la presenza attiva e condizionante. Sotto questa luce viene perfettamente a caratterizzarsi il rapporto che l’artista intrattiene col mondo: un rapporto informato di armonia interiore. I dipinti che coprono l’arco degli anni Settanta e la fase iniziale degli Ottanta attestano che, per esprimersi su questa prospettiva, Parmigiani ha elaborato un linguaggio del tutto pertinente. È un linguaggio fondato eminentemente sulla saldezza strutturale, tanto che le forme si collocano nello spazio in obbedienza a un’interna legge che ne stabilisce ogni connessione.

Agendo su tale linea, egli consegna all’immagine un durée, risolutamente sottraendola a quanto di transeunte resisteva nella natura: le garantisce l’affrancarsi nel segno della sintesi. Il termine struttura non deve ingenerare fraintendimento poichè esso non adombra una prevalenza dell’impianto disegnativo. Parmigiani – che pur è grafico e disegnatore eccellente – elabora l’immagine esclusivamente mediante il colore. E i suoi disegni ugualmente si definiscono pittoricamente. Venga adottato attraverso un sistema di campiture variamente articolate o sia invece intonato atmosfericamente nel perfetto amalgama del carbone e della sanguigna od ancora proposto in volumetriche consistenze, sempre il colore assolve ad una funzione tettonica, si che doveroso è ricordare come proficua sia stata non soltanto la frequentazione, nel periodo giovanile, del pittore G.M. Mossa ma anche l’inquisizione portata sul museo per uno studio di tecniche o di modalità espressive: di certo sommossa da una sensibilità moderna, questa pittura anche si alimenta per linfe secolari. Ciò per notare che, in definitiva, il colore è tramite primario all’espressione: la modula e la definisce nello svolgimento delle diverse tematiche in cui si dispiega, la figura, il paesaggio e la natura morta. A ciascuna di esse urge adesso far cenno. Si parlerà, per prime, delle figure.  Sin dall’inizio del suo operare Parmigiani è stato fortemente attratto dalla figura, specialmente dalla figura femminile e il tema ha perseguito instancabilmente fino ad oggi con amorevole intento. Nel corso degli anni è venuta a comporsi una vastissima galleria tipologica, di certo mutevole per fisionomie e positure e tuttavia sempre sospinta sil piano della trasfigurazione. Come avverrà nei paesaggi e nelle nature morte, la presa diretta della realtà umana non si congela nel riporto neutrale dei suoi dati esteriori ma costituisce il punto d’avvio di una penetrazione psicologica volta a precisare il tratto identificativo di una personalità. Sono constatazioni, queste, che si appuntano sia sugli oli sia sulle immagini eseguite in carbone e sanguigna che, per quanto attiene appunto alla figura, sono numerosissimi. In luogo di stabilire fra se e il modello quel distacco riscontrabile nella ritrattistica tradizionale, si direbbe che Parmigiani dialoghi con esso, che ne catturi l’essenza in forza di una solidale partecipazione. Per citare, la madre che stringe fra le braccia il bambino, che lo accarezza o lo sogguarda con tenerezza – spunto iconografico espresso in innumeri versioni dell’arte di ogni tempo – trova con Parmigiani gli accenti più commossi e partecipanti: aldilà della “occasione” che ha generato il dipinto o il disegno, si discopre la volontà di celebrare attraverso questo motivo la continuità stessa della vita. A dimostrare che sempre, questo artista, muove dal reale per addivenire ad una significazione che il reale trascende. Così dalle figure delle adolescenti e delle giovani donne di continuo traspare una vibrazione tutta interiore che sigla il sentimento dominante una precisa stagione dell’esistenza: la malinconia che sgorga dai troppi interrogativi che non trovano risposte certe e definitive; la speranza che scatta per una parola o un sorriso amico; la grevità della solitudine provocata da una promessa delusa; ed anche l’affrancarsi della fiducia, anche il propendere alla dolcezza dell’abbandono nelle onde maliziose del sogno ad occhi aperti. Molteplici sono le motivazioni ed ugualmente molteplici sono, in corrispondenza, le modalità con cui le figure di Parmigiani si prospettano al nostro sguardo. In qualche caso queste figure occupano l’intero spazio del dipinto, in altri casi sono immesse in un interno domestico e attorniate dalle semplici, umili cose della quotidianità – un vaso di fiori, un tavolo, un cuscino, un libro: care al cuore poichè ciascuna custodisce il lembo di un ricordo privato – le quali concorrono a definire una temperie in consonanza con il contenuto sentimentale riaffiorante dalla figura stessa.

Ed anche il colore è adottato in funzione di rilevamento psicologico: non descrive ma decanta, non commenta ma trasfigura. Pur accentuando nella figura plastiche consistenze, il colore si associa alla luce al fine di pervenire ad esiti impregnati di vivida  spiritualizzazione. Non dunque una localizzazione di risentite o compiaciute offerte di ambiguo significato è dato di reperire in queste giovani, fresche epidermidi, ma una naturalità senza aggettivi che ha la stessa purezza dell’acqua sorgiva. Potrebbero ben rammemorare alcuni versi di Eugenio Montale: «...i vent’anni ti minacciano – grigiorosea nube – che a poco a poco in sé ti chiude. - ... Non turbare – di ubbie il sorridente presente». Inverandosi in una trama di caldi, sottili sfumati, queste figure, questi volti discoprono insomma il loro tratto identificativo più vero, poiché, come del resto si è rilevato, lo scandaglio psicologico condotto dall’artista è vigile e attento. Sono opere che testimoniano intorno ad una maturità stilistica saldamente conquistata attraverso un’applicazione assidua. Attraverso anche una intensa, solidale adesione all’uomo e alla sua vicenda. Il paesaggio è l’altra tematica prediletta da Parmigiani. Del cangiante spettacolo della Natura, Parmigiani è indotto a cogliere gli aspetti meno clamorosi ma più  fervidi di intime grazie, più densi di panici umori. In particolare egli preferisce lo scorcio, animato o meno, offerto dalle campagne di Abbiate Guazzone, dove abita, e dalla brughiera che appresso si estende selvatica, dalle dolci colline che disegnano il cielo d’ondulati profili. La consuetudine di visitazione di codesti luoghi non erige tuttavia l’opaco schermo dell’abitudine visiva giacché ad ogni angolo, si può dire, egli effettua una riscoperta in virtù di quelle sotterranee concatenazioni di esperienze che l’ambiente ricollega a un lungo rosario di memorie. Riscoperta di fragrante freschezza: la stessa che può essere avvertita quando l’artista s’avventura in altre geografie – a Venezia, a Chioggia o ad Urbino oppure sulle alte montagne lombarde o piemontesi – quando lo scorcio naturale gli si propone del tutto inedito. Il “paesaggio” costituisce per l’artista l’occasione per un’assidua, felice immersione nei verdi declivi inondati di sole, nella pianura rigogliosa riverberata dai fuochi del tramonto, nelle antiche pietre corrose dai venti e dalle pioggie, per registrare commosso il variare dell’ora, dei giorni, delle stagioni.

La Natura è rivissuta da Parmigiani come un Eden ritrovato, come l’immenso grembo che infonde fiducia e ristoro, come l’albergo sicuro della pace e dell’equilibrio interiore. Tutte le sue immagini, in effetti, paiono intonarsi sulle corde di una ineffabile elegia bucolica che canta sommessa l’avvenuta riconciliazione dell’uomo con la Natura. Così, indipendentemente  dall’ovvia diversità del linguaggio, Parmigiani un poco rammemora gli artisti della Scuola di Barbizon: non dissimile è il trepido amore con cui accosta l’albero e la siepe, il casolare sperduto o un roseto in fioritura, non dissimile è  la gioiosa ansietà di cogliere linfe di tronchi e umori di terra, le luci sfolgoranti e le umide ombre. Per lui giusto s’attaglia l’antica proposizione di Léonce: «Misura la natura con l’orologio dei fiori». Del suo pellegrinaggio nel cuore di una natura che perennemente rinnova se stessa, ogni dipinto è una stazione. In essa, pero’, non solamente uno stato d’animo si sostanzia. Si visualizza piuttosto un atteggiamento dello spirito: la felice, consapevole partecipazione di una creatura al Creato.  E’ un atteggiamento che nitido traspare altresi’ nel ciclo delle nature morte, termine improprio per indicare un genere che, nella fattispecie, è inteso a celebrare la vita.  I sapidi frutti che Parmigiani dispiega in plastica evidenza nel riverbero dell’oro antico, sistemandoli sovente in quel taglio compositivo a festone che trattiene una memoria rinascimentale, ci pervengono come i doni che la Natura offre all’uomo e si tramutano anch’essi percio’ negli emblemi di una sua pntuale integrazione con la Natura stessa: il significato del discorso, insomma, non muta mutando i contenuti di rappresentazione. E commento differente non si potrebbe fare meditando le altre immagini di questo ciclo, dove i fiori o gli oggetti in certo modo assemblati adombrano la serenità di un momento di esistenza, la minuscola gioia che discende da quanto vi è di piu’ semplice e colmo di memorie care al cuore. Giunti alla conclusione di questa pagina, rimane da osservare che l’intensità di espressione dell’opera di Parmigiani va direttamente rapportata all’intensità spirituale di cui è dotato l’artista. Anche per questa ragione si è rilevato all’inizio che quest’opera si isola da altre esperienze contemporanee e che con esse non puo’ in alcun modo essere posta a confronto. Parmigiani insegue il proprio sogno libero ed alto, ripudiando le ipoteche di un tempo negativo qual è quello che stiamo attraversando, dilacerato dalla violenza e incupito dall’angoscia, e indica, nel dipanarsi delle immagini, che la salvazione dell’uomo è ancora possibile ove egli sappia recuperare quei valori permanenti che, da soli, possono conferire significato alla sua giornata. Questo contenuto, s’è visto, non grava sull’opera come esterno sedimento, non si costituisce cioè a guisa di proposizione didascalica o di esortazione edificante; si risolve invece nell’esemplare nitidezza di una forma dalla cadenza poetica. Da qui l’incidenza del messaggio di Parmigiani, che immediatamente raggiunge l’osservatore ricolmandolo dei sensi di una armonia consolatrice. Se si dovesse allora azzardare una definizione, si direbbe che Aldo Parmigiani è un pittore moderno dal cuore antico.
(testo tratto dal catalogo di Aldo Parmigiani del 1981)